
10 Marzo 2003
Capita a Bologna
Questa di Fabrizio
è la storia vera
di Elisabetta Pasquali
All’appuntamento di Genova, nel Marzo del 2000, risposero
tutti i big della musica leggera italiana per ricordare Fabrizio
De André a un anno dalla sua scomparsa, nel modo che lui
avrebbe senz’altro gradito di più: un grande concerto,
in cui i partecipanti resero omaggio al cantautore interpretando
le sue canzoni. Ora quella serata memorabile sta per diventare
un doppio CD dal vivo, la cui uscita è prevista per il
prossimo autunno. Oltre ad Adriano Celentano, Gino Paoli, Fiorella
Mannoia, Jovanotti, Ligabue, Zucchero, Loredana Berté,
Vasco Rossi, Franco Battiato, Ornella Vanoni, Enzo Jannacci ed
Edoardo Bennato, del cast fa parte anche Roberto Ferri (nella
foto), il cantautore bolognese da anni amico e collaboratore di
De André (suoi, tra gli altri successi sanremesi, “Sarà
quel che sarà”, interpretata da Tiziana Rivale, vincitrice
del Festival nel 1983, e la canzone cantata da Patti Pravo nel
1997, “E dimmi che non vuoi morire”).
“Ecco come Ferri ricorda l’esperienza del
Memorial organizzato da Dori Ghezzi, moglie del cantautore scomparso,
e dalla Fondazione a lui intitolata”.
“Credo che Fabrizio, che aveva un carattere piuttosto schivo,
avrebbe apprezzato moltissimo l’idea di essere ricordato
in questo modo. Per un artista non conta tanto il fatto celebrativo
in sé, quanto piuttosto che le sue canzoni possano essere
interpretate anche da altri. L’intento di quell’evento
fu proprio questo: ognuno di noi scelse la canzone di Fabrizio
che amava di più, e la reinterpretò a modo suo.
L’atmosfera era quella di una grande festa tra amici, per
ricordare uno di noi che se ne era andato troppo presto”.
“Al memorial presentasti “La canzone di Marinella”
con il testo in francese. Come mai questa scelta?”
“L’idea era nata qualche tempo prima, durante una
vacanza in montagna insieme a Dori. Fabrizio, poco tempo prima
di morire, mi aveva confessato che gli sarebbe piaciuto girare
il mondo, ma la malattia non gliene lasciò il tempo. Così
pensai che avrebbero potuto farlo le sue canzoni. E ho iniziato
a tradurle in francese con l’intento di portarle al di là
delle Alpi. Dori apprezzò il progetto fin dall’inizio,
sentì il CD che stavo realizzando e quando si trattò
di mettere in piedi il cast per il Memorial volle che partecipassi
con “La romance de Marinelle”.
“Come nacque la tua collaborazione con De André?”
“Prima è nata l’amicizia, poi è venuto
il lavoro. Avevo conosciuto Dori Ghezzi nell’estate del
1983. Durante un’intervista (a quell’epoca collaboravo
con una radio privata di Bologna) Dori, che quell’anno era
arrivata terza a Sanremo, scoprì che io ero l’autore
del brano che aveva vinto. Il feeling fu immediato, e ci scambiammo
i numeri di telefono e iniziammo a frequentarci assiduamente.
Così incontrai anche Fabrizio, diventammo amici, e una
sera quasi per scherzo scrivemmo insieme la nostra prima canzone,
“Faccia di cane”, che nacque in modo del tutto causale”.
“Cioè’?”
“Eravamo a casa di Fabrizio dopo una serata innaffiata
da parecchio vino. Quando lui vide il mio cane Cico che ci gironzolava
intorno, mi disse: <<dài, Puffo, andiamo di là
che il tuo cane mi ha dato l’ispirazione>> . Il resto
fu una sorta di partita a ping pong, di idee che diventavano parole:
in quel momento capii in che modo si lavorava con Fabrizio”
“Il ricordo che più ti è rimasto
impresso di lui?”
“Ce ne sono tanti. Fabrizio era un sabotatore di giochi
di società: a Risiko rubava i carrarmati, a Scarabeo cambiava
le lettere. Ma al di là di questo mi ricordo soprattutto
quando una volta un discografico valutò un mio pezzo dal
punto di vista meramente commerciale, e Fabrizio lo interruppe
dicendo: <<a Ferri queste cose non interessano>>.
Questo era il nostro modo di essere in sintonia”.
“L’ultimo brano De André lo ha scritto
a quattro mani con te …”
“Un giorno mi disse che dovevamo scrivere un pezzo in Lunfardo,
la lingua mista di spagnolo e portoghese che parlano gli emigranti
italiani a Buenos Aires. Io gli risposi che non sapevo una parola,
e lui mi disse: <<neanch’io!>>. Prendemmo i
vocabolari e ci mettemmo all’opera. Così è
nata “Lunfardia”.
“Torniamo alla Romance de Marinelle, che oltre
a far parte del doppio CD del Memorial, tu presenti anche nel
tuo spettacolo, tutto di musica francese. Come mai la scelta di
questa lingua?”
“Perché voglio riproporre la figura dello chansonnier,
ovvero di un artista, anzi di una scuola di artisti, che sul palco
cantano delle canzoni e le mimano. Gli chansonnier sono tutti
morti tranne Aznavour, che però non canta più. Come
nella musica dell’800 i vari Schumann e Schubert vengono
cantati da soprani e baritoni di tutto il mondo in lingua originale,
così anche il repertorio degli chansonnier non deve essere
linguisticamente alterato. Per un fatto di sonorità e di
cultura. E da questo punto di vista, non ho concorrenza”.
“A quando il prossimo appuntamento?”
“Sabato 27 settembre, al Parco della Montagnola. Sarà
uno spettacolo promosso dall’Agio (Associazione Giovani
per l’Oratorio) di Don Manara, col patrocinio dellla Maison
Française, e che avrà uno scopo ben preciso: raccogliere
fondi per costituire una scuola di musica per giovani che avrà
sede proprio alla Montagnola. E’ un progetto a cui tengo
molto, e in sintonia con il mio modo di vivere la musica, che
deve essere cultura prima di tutto, e chi la coltiva deve avere
una preparazione adeguata”.
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